Safari.
In una tarda serata
di vie di mezzo,
mezze misure
e mezzi sguardi
vagava
tra i rovi
della mia incredulità.
Aveva smanie limpide.
Aveva necessità serene,
di tana, di tepore.
Svaniva a tratti.
Batteva i piedi
tra correnti fredde.
Schiudeva gli occhi
su atmosfere consumate
da altri occhi,
avari.
Prevedibilmente piangeva.
Viveva già
da mesi
tra le ruote dentate
di una torre campanaria.
Sperimentava il potere
sui tempi delle campane
e sul tempo del tempo.
Intuiva
la dottrina della cellulosa.
Si riprometteva
memorie seducenti
come animali ritrosi.
Non immaginava
di avere una scadenza
impressa da qualche parte.
Non considerava pentimenti.
Non concepiva angosce.
In una tarda serata
senza effetti speciali
vaga
tra i nuraghi
dei miei abbagli.
Ha smanie comprensibili.
Ha necessità soffici,
di tana, di tepore.
Svanisce a tratti.
Batte i piedi
tra strie di nafta.
Schiude gli occhi
su pietre scartavetrate
da altri occhi,
distratti.
Presumibilmente piange.
Vive
da mesi
nell’ingranaggio
di una torre campanaria.
Ha potere
sui tempi delle campane
e sul tempo del tempo.
Conosce
la dottrina della cellulosa.
Conserva
memorie seducenti
come animali sfuggenti.
Ha una scadenza
impressa da qualche parte.
Non considera rimpianti.
Non concepisce rimorsi.
26/03/05
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